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L’usura pecuniaria bancaria

Il baratto e la nascita delle prime banche

 

     Per capire come è nata la moneta che oggi noi tutti adoperiamo dobbiamo fare un salto nel lontano passato all’epoca della civiltà dei SUMERI nel tremila a.C. all’epoca dell’invenzione della scrittura.
      Secondo le ultime scoperte archeologiche, gia nel quarto millennio a.C. vennero all’esistenza leBanche, che non erano Istituti bancari come quelli di oggi, ma, una sorta di “agenzie del commercio”, che su diversi aspetti mostravano una forte somiglianza con le S.p.A. di oggi.
      Nel quarto millennio a.C. non era stata ancora inventata la moneta: il BARATTO era l’unica forma di scambio commerciale allora in uso, ed il bestiame rappresentava una sorte di valuta sul cuivaloreveniva rapportato ogni cosa fatta oggetto di baratto. I sumeri avevano imparato ad adoperare i metalli in oro e argento, in rame e in bronzo e da questi fabbricavano raffinati suppellettili, ricercatecoppe, ed eleganti oggetti ornamentali destinati alla bellezza delle donne, sapevano anche lavorare le pietre per trasformarle in gemme. Gli oggetti in oro e argento, ma, anche le pietre lavorate a motivo della loro straordinaria bellezza, legata ai giochi e ai riflessi della luce, finirono nel tempo di diventare prodotti di grande pregio, oggetti preziosi anche, a motivo della loro rarità nel trovare la materia prima.
     L’oro divenne il metallo più ricercato e quindi più prezioso a cui seguiva l’argento e i metalli meno nobili e le pietre lavorate, ma nonostante, la loro rarità, bellezza, e preziosità, l’unità di misura del valore delle cose era il bestiame e in rapporto a questo valore era barattata ogni cosa. I sumeri si resero immediatamente conto che per un proporzionato rapporto nel valutare le cose oggetto del baratto, bisognava usare una bilancia e inventarono la stadera e i relativipesi, dapprima composti da massi, sassi e ciottoli di pietra e successivamente di piombo, ai quali era associato un valore minimo e massimo, la cui stima differiva in base a convenzione diverse da un luogo all’altro.
     L’aggettivo pecuniario, da cui pecunia, deriva dal latino “pecus” che significa bestiame, perché, appunto il sistema di scambio si basava sul bestiame che si barattava con altro bestiame di differente natura e taglia. A questi sistema di scambio si aggiunsero i prodotti dell’agricoltura e dell’artigianato, così si rese necessario pesare i diversi prodotti in modo da attribuire ad ognuno una misura e il relativo valore intrinseco. Prima dell’invenzione della moneta coniata i metalli quali l’oro, l’argento, il rame, il bronzo, il ferro, divennero anch’essi un prodotto utile da barattare con legname pregiato, scorte di viveri,ceramicae carne da macello. L’oro e l’argento come il resto dei metalli meno nobile, delle pietre preziose, del legno e della ceramica erano oggetti frutto dell’artigianato, composti davasellame, coppe, anfore, suppellettili, arredi,anelli, bracciali e collane. A questi beni era dato un valore differente, quindi erano pesati e venivano, scambiati con altrecose tipo, terreni, piantagioni, case, ma, anche con grano, cereali, vino, olio eortaggi.
      L’unità fondamentale di misura dei pesi usata tra i regni dei sumeri della Mesopotamia e dai regni delle popolazioni semitiche della Fertile Mezzaluna era il “siclo”, “shekel”, da cui il verbo ebraico della stessa radice “shaqal” che significa pesare (“gín” nella lingua semitica dell’antica Ebla). Il computo di “uno siclo” variava da luogo a luogo e paragonandolo alle nostre attuali unità di misure dei pesi corrispondeva a 11-17 grammi. Era usata anche la “mina” che corrispondeva a 60 sicli (“mana” secondo la lingua dell’antica Ebla del 2.500 a.C.). Multiplo del siclo era il “talento”, che paragonato alle nostre unità di misura dei valori “uno talento” corrisponde a trentacinque kg. È interessante sapere che queste unità di misura restarono in vigore per diversi millenni, a incominciare dal quarto millennio a.C. fino ad arrivare all’epoca della Roma imperiale, ai tempi di Cristo, quindi, divennero l’unità di misura dei valori delle civiltà che fiorirono lungo il bacino del Mediterraneo.
Per capire il sistema del baratto al tempo della civiltà dei sumeri è rivelatrice questo racconto:
     "Quando il re di Uruk, Enmerkar, manda a chiedere al re di Aratta, metalli e pietre preziose per adornare i templi degli i sumeri, questi giustamente domanda che cosa possa offrire in cambio il popolo di Sumer per i beni richiesti. La risposta del re di Uruk è che i Sumeri hanno un’abbondanza tale di grano e di orzo da poterli mandare senza difficoltà alcuna alle genti di Aratta”.*
     Questo racconto mette in evidenza le difficoltà che presenta il baratto, (in tutto e per tutto) infatti si evince che i cittadini di un regno spesso, erano tutti produttori esclusivi o meglio abbondavano, di un solo prodotto (cereali o carne da macello, ortaggi o manufatti artigianali) e non come accadeva altrove, uno produceva una cosa, e uno un’altra, quindi nello scambio si resero necessarie le agenzie commerciali, in altri termini nacquerole primitive banche, all’interno dei regni delle citta-stato, e intorno ai templi che essendo considerati inviolabili, al riparo dai furti, si svolgevano le consuete operazioni bancarie e a loro volta diventavano anche colonie commerciali ed erano gestite da mercanti chiamati “agenti del commercio”, nominati dalle autorità, siano essi re o governatori, che fungevano anche da ambasciatori, tra un regno e l’altro. Successivamente anche i greci e gli ebrei utilizzarono i templi per svolgere attività di banca.
     Dalle attività di scambi commerciali, nacque l’esigenza dei prestiti e dei crediti (non sempre i prodotti erano pagati tutto in una volta, ma a rate, attraverso quantità parziali di derratealimentari ed altro) per chi possedeva grandi quantità di oggetti in metallo pregiato per proteggerli più efficacemente dagli eventuali furti ad opera di ladri, anziché sotterrarli da qualche parte, con il pericolo di dimenticare e perdere di vista il punto esatto della loro ubicazione si preferì dare i propri averi in custodia, depositando appunto i propri beni, presso le agenzie commerciali e vennero alla luce di conseguenza, l’esigenza del pagamento di un interessi sui prestiti e sui depositi. Per gestire alla meglio questo complesso sistema di transizioni dei beni, i sumeri della pianura di Sinar inventarono “l’assegno” o la nota del banco (la banconota o bolla d’accompagnamento), naturalmente ai tempi degli antichi sumeri, si trattava di una lettera di credito, incisa a caratteri cuneiformi su una piccola tavoletta di argilla che riportava i sigilli - perché all’ora non esisteva la firma a garanzia del contratto – dei rispettivi banchieri e clienti dall’ora. Questa lettera per proteggerla da occhi indiscreti o dalla rottura a seguito di una caduta veniva inserita in un involucro (l’equivalente di una busta odierna) molto resistente di argilla, cotta al forno.

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* Giovanni Pettinato, da “Ebla Nuovi orizzonti della storia”, Rusconi, prima edizione ottobre 1986 pag. 159.

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