La religione cristiana è fatta di simboli. Uno
di questi simboli è l'Achéropita (dal
greco "Acheiropoietós" che significa: "Non fatta da mano d'uomo")
e raffigura il "Salvatore", esso a partire dal VII secolo d.c.
si ritrova sugli stendardi, ma ancora prima, dai tempi dell'imperatore
romano Costantino, l'Achéropita assieme all'immagine dell'imperatore
la si ritrova rappresentata su avori e medaglie.
La funzione di quest'immagine,
data agli uomini miracolosamente (secondo la tradizione), è di
protezione, di vittoria sul nemico, su ogni nemico, cioè sul
male.
Eusebio di Cesarea (265-340) nella
sua "Storia Ecclesiastica", (libro primo, argomento tredicesimo,
nel racconto sul re degli Edesseni) narra che un certo re di
nome Abgar V, detto il Nero, Re dell'Osroene, regno situato
nella Mesopotamia nord-occidentale con capitale Edessa (oggi
Urfa, in Turchia) e toparca cioè governatore, sovrano di questa
città, contemporaneo di Cristo era ammalato di lebbra. Venuto
a conoscenza dell'esistenza di Gesù di Nazareth e dei suoi
poteri di guarigione miracolosa, il re gli mandò un messaggero
per chiedergli di recarsi da lui, nella Città d'Edessa, ma
Gesù non volle andare, però gli inviò una lettera, nella quale
promise che per la sua forte fede, dopo la sua morte e risurrezione,
avrebbe mandato un suo discepolo che lo avrebbe guarito dalla
sua lebbra e così avvenne. Eusebio di Cesarea informa che gli
originali in Siriaco della corrispondenza avuta luogo tra Cristo
e Abgar Re di Edessa, erano conservati negli archivi di Edessa,
alle cui fonti attinse anche Giulio Africano. Dei documenti
citati da Eusebio, esiste ancora oggi il testo integrale in
Siriaco, ritrovato in un manoscritto del sesto secolo d.C.
oltre a due redazioni greche indipendenti, molto più brevi
della Siriaca. Il racconto che sia una leggenda è provato
dall'usanza dei Cristiani del II secolo di sovrapporre in questo
caso alla figura di Abgar IX, primo re cristiano di Edessa,
deposto da Caracalla nel 216, quella di Abgar V detto il Nero,
figlio di Uchamas, contemporaneo di Cristo, di conseguenza
il "Taddeo" che guarì Abgar, non è altro che"Addai", evangelizzatore
dell'Osroene, della seconda metà del II secolo, il cui nome
fu assimilato a quello di Taddeo. A questa leggenda è accostata
un'altro racconto parallelo che risalirebbe alla fine del IV
secolo d.C.; altri studiosi la fanno risalire nel 544 all'epoca
dell'assedio di Edessa, ed è raccontata nella Dottrina di Addai. È una
composizione siriana che include varie leggende, secondo questo
racconto Abgar dopo aver tentato invano di convincere Gesù a
recarsi ad Edessa, inviò dal Cristo il suo archivista e pittore
Hannan affinché dipingesse il volto del
Cristo su una stoffa, il "Mandylion",
chiamato secondo la tradizione occidentale anche "sudario" o "Immagine
della Veronica". Hannan provava e riprovava, ma, non
riusciva a ritrarre il Cristo per lo splendore del suo volto.
Gesù allora bagnò il suo viso con dell'acqua, prese il pezzo
di stoffa e se lo pose sul volto e miracolosamente l'impronta
del suo volto si trasferì sulla stoffa. Il pittore Hannan ritornò ad
Edessa con l'immagine del Cristo impressa sul Mandylion e con
una lettera in cui era promessa da Gesù la sua guarigione e
l'incolumità della Città. Il Re guarì dalla lebbra, abbatté tutti
gli idoli pagani e innalzò il Mandylion come stendardo della
Città.
Nell'ottavo secolo d.c. a seguito
della controversia iconoclasta, con la vittoria definitiva
degli iconofili e il trionfo dell'ortodossia il Mandylion con
l'achéropita di Edessa divenne il modello storico e canonico
più antico, della possibilità di raffigurare il Dio invisibile,
fattosi visibile in Cristo. Sono numerose
le testimonianze e le descrizioni che mettono in relazione
il Mandylion con la Sacra Sindone di
Torino. Nel 944 d.c. in seguito ad un assedio i Bizantini
si fanno consegnare il Mandylion dalle autorità musulmane del
sultano arabo che aveva occupato Edessa. La teca con il Mandylion
viene portata a Samosata per un primo controllo con le copie,
infine giunge a Costantinopoli. Dell'arrivo del Mandylion a
Costantinopoli la testimonianza si ritrova nell'omelia attribuita
a Costantino VII Porfirogenito, imperatore di Costantinopoli
dal 912 al 958, e nel resoconto di Gregorio il Referendario. Sono
molti gli studiosi che pensano che il Mandylion con ogni probabilità era
la Sindone ripiegata in otto strati (tetradyplon) in modo da
far vedere solo il volto, infatti, Mandylion è una grecizzazione
del termine arabo "Mandil" che significa "lenzuolo". Della
presenza ad Edessa del telo sepolcrale di Gesù si ritrovano
tracce nei documenti del Concilio II di Nicea del 787 d.C.
Il lino achéropita era alla base dei dibattiti sul culto delle
immagini sacre. Altri studiosi ritengono in base alle testimonianze
dei vangeli che il lenzuolo (bende, nel testo biblico) e il
Mandylion o sudario che venne posto sul capo sono due cose
diverse. Le bende del vangelo corrispondono alla Sindone di
Torino, mentre il sudario dovrebbe essere il fazzoletto conservato
ad Oviedo in Spagna dal 631 d.C. e che alle analisi del sangue
ha mostrato di possedere lo stesso gruppo sanguigno della Sindone
(AB, molto raro) e pollini anch'essi della stessa regione intorno
a Gerusalemme già presenti sulla Sindone.
In Calabria, nelle colline
tra il mar ionio e i monti della Sila esiste una località che
fa parte del comune di Zagarise (Catanzaro) denominata, guarda
caso, "Mandile".
Il volto del Cristo nelle Icone antiche è circondato
dal nimbo cruciforme con le tre lettere W, O, N, che significano: "Colui
che é", vale a dire il nome rivelato a Mose sul monte Sinai,
quando si trovava davanti al roveto ardente. Il Mandylion e
la Sindone, la storia di queste reliquie ha origine ad Edessa,
tra il II e il IV secolo d.C.da questa città arrivarono (in
particolare la sindone) in occidente tramite i Cavalieri
Templari che la portarono in Francia e da questo paese
in Italia. La sindone è realmente un oggetto "non fatto da
mani umane", essa corrisponde letteralmente ad un negativo
fotografico, ma, il fatto che l'immagine non sia un dipinto,
opera dell'ingegno umano, non prova che sia effettivamente
il volto del Cristo, sono troppi gli aspetti in contrasto con
il racconto evangelico e poi chi lo dice se a quei tempi l'uomo
non conosceva le qualità fotosensibili di determinati elementi
tipo il bitume e l'argento? Le famose "Pile
di Bagdad", piccole giare usate anticamente come pile
elettriche tuttora funzionanti, scoperte da un ingegnere tedesco
tra quegli oggetti che il museo della città considerava cianfrusaglie
etichettate come "oggetti di culto" risalenti alla dinastia
dei Sassanidi (II secolo d.C.) dimostrano inconfutabilmente
che il mondo antico conosceva i segreti dell'elettricità e
i procedimenti elettrolitici di galvanizzazione per l'argentatura
e doratura mediante placcatura dei metalli meno nobili, anche
se in base alle ricerche condotte in seguito, tali conoscenze
erano patrimonio esclusivo di sette e di piccoli gruppi di
persone che difendevano gelosamente tali segreti, anche se
diffusi in tutto il mondo, quindi, nel secondo secolo d.C.
il secolo in cui ebbe origine la leggenda di Abgar e dell'Achéropita,
sicuramente era conosciuta la proprietà fotosensibile del nitrato
d'argento e la relativa applicazione, di conseguenza con molta
probabilità, la Sindone era e tuttora rappresenta la prova
archeologica comprovata di tali conoscenze.
Personalmente non ho mai esaminato la sindone
ma, con tutta certezza posso affermare che nulla di miracoloso
c'è nella Sindone, ma, solo l'applicazione di determinate scienze,
conosciute nel secondo secolo dopo Cristo e dimenticate successivamente
per essere riscoperte e divulgate nei giorni nostri. Si può affermare
con evidente certezza che il personaggio della Sindone di Torino
non è il Cristo dei Vangeli, anche se, la corona di spine faccia
pensare che era una persona che avrà aspirato alla regalità,
forse avrebbe cercato di usurpare un diritto che non le aspettava.
Bisogna, infatti, considerare che i romani adattavano le crocifissioni
e infliggevano le torture in accordo con il crimine commesso,
affinché questo fosse di esempio e nessuno si azzardasse di
replicare lo stesso reato, quindi, la corona di spine sul capo
del condannato fa pensare a qualcuno che si sia spacciato per
un nobile. I Vangeli e tutte le epistole apostoliche, presentano
il Cristo come un agnello immolato, perfetto senza difetto
alcuno (1Pietro 1,19), invece nell'uomo della Sindone si nota
chiaramente che ha un arto della gamba più corto dell'altro,
e un piede anziché presentarsi diritto parallelo all'altro è girato
di novanta gradi, questo difetto ha dato luogo a quello che è stato
definito il "Cristo zoppo", infatti,
tutta l'iconografia del Cristo in Croce successiva, nella necessità di
conformarsi da una parte ai Vangeli e dall'altro ad un originale
ritenuto autentico hanno dato origine alla cosi detta "curva
bizantina" vale a dire al bacino del corpo spostato
a sinistra e al poggiapiedi della croce inclinato. Nonostante
gli studiosi cattolici odierni spiegano questa anomalia definendola
solo "apparente", dovuta a quella che chiamano "rigidità cadaverica" che
si è venuta a formare per la sovrapposizione del piede sinistro
sul destro, guarda caso nessuno durate tutti questi secoli
se ne era mai accorto, ma hanno continuato a credere che il
Cristo della Sindone fosse zoppo dalla nascita a tal punto
da influenzare anche le rappresentazioni di Gesù Bambino, si è dovuti
comunque, arrivare ai nostri tempi con le attuali conoscenze
per capire questa anomalia? O è un altro tentativo, questa
volta ad uso e consumo dei sacerdoti che per collegare la sindone
ai vangeli e far accettare di nuovo a tutti specialmente ai
non credenti la presunta "autenticità" della Sindone si è ricorsi
a questa nuova scorciatoia di carattere medico-anatomico? La
presenza del sangue sul tessuto della Sindone è la prova che
il cadavere non è stato lavato prima di esservi avvolto. I
quattro vangeli presentano una contraddizione reciproca sia
riguardo al tessuto di lino usato per avvolgere il corpo del
Cristo, sia a proposito della preparazione alla sepoltura,
inoltre è strano che sia stato avvolto nella Sindone con tutta
la corona di spine. La corona di spine era un oggetto blasfemo
posto sul capo del condannato, ma poiché a togliere il Cristo
dalla croce non furono i soldati romani e neanche i nemici
giudei, ma giudei che nutrivano profondo rispetto verso Gesù Cristo,
senza ombra di dubbio tolsero dalla testa l'oggetto della burla,
se ci immedesimiamo nella scena penso che chiunque, nutrendo
rispetto verso una tale persona, ma anche come segno umanitario
avrebbe tolto dal cadavere una tale corona fatta da spine,
non e così? Dato che l'uomo della sindone pare abbia la corona
di spine, è evidente che non è il Cristo dei Vangeli.
Io non sono un esperto in queste discipline,
ma penso che con l'enorme bibliografia sulla sindone a disposizione
di tutti, basta qualche ricerca per permettere a chiunque anche
a chi è completamente "crudo" di queste materie di formulare
un giudizio, la propria opinione sull'uomo della Sindone. Ho
voluto esaminare il testo greco dei quattro Vangeli aiutandomi
con "il Nuovo Testamento Interlineare, greco, latino, italiano" della
San Paolo, terza edizione giugno 2000 e ho trovato le prove
a sostegno della mia tesi.
Il Vangelo di Matteo capitolo 27 verso 59 usa
un termine greco che si legge "Sindoni" e
che la Bibbia, pocanzi citata traduce "lenzuolo".
Il testo in Italiano così traduce: "Giuseppe prese il corpo,
l'avvolse in una sindone pulita e lo depose nel suo sepolcro
nuovo che aveva scavato nella roccia". Rotolò una grossa pietra
all'entrata del sepolcro e se ne andò. C'erano là Maria Maddalena
e l'altra Maria, sedute di fronte al sepolcro". Il testo in
latino, la parte principale che più ci interessa dice cosi: "Et,
accépto córpore, Ioseph invólvit illud in síndone munda".
Si evince da questo Vangelo che il corpo del Cristo è stato
deposto nella sindone senza essere stato lavato. In questo
Vangelo non si parla né di bende, né di sudario o Mandylion.
Lo stesso discorso vale per il testo del Vangelo di Marco (Marco
15,42-47) anche qui si parla della sindone nel quale è stato
avvolto Gesù e deposto nel sepolcro senza essere stato prima
lavato e unto con gli aromi, infatti, come attesta il capitolo
16 il giorno successivo al riposo domenicale ebraico (il sabato),
le donne comprarono aromi e andarono ad ungere Gesù ma non
lo trovarono perché era resuscitato. Anche qui non si parla
né di bende, né di sudario. L'Evangelo secondo Luca (cap.23
ver. 53-56) ripete quanto è già stato detto nei precedenti
Evangeli, ma, il capitolo 24, verso 12 aggiunge cosa vide San
Pietro quando andò al sepolcro: "Guardò dentro e vide solo
le bende". Pietro secondo quanto afferma questo Vangelo non
vide la sindone né il mandylion, nel sepolcro ma, solo le bende.
L'Interlineare della San Paolo traduce il termine greco usato
nel verso 12 che si legge "othonia" con "fasce".
Dov'era finita la sindone? Il Vangelo secondo Luca non lo dice.
Diverso discorso troviamo nel Vangelo secondo
Giovanni, infatti, nel capitolo19, verso dal 38 al 42 racconta
che un giudeo seguace segreto di Gesù (oggi diremmo un simpatizzante,
ma non convertito) di nome Giuseppe di
Arimatea (lo stesso Giuseppe degli altri tre Vangeli)
staccò Gesù dalla croce per deporlo nel suo sepolcro. A questo
punto il Vangelo secondo Giovanni afferma una cosa nuova contraddicendo
gli altri tre vangeli. Appare una figura nuova è Nicodemo,
altro giudeo simpatizzante, che è venuto per lavare e ungere
Gesù con una mistura di mirra e aloe secondo
l'usanza di quei tempi. Questo vangelo non fa nessuna menzione
della sindone, anzi dice il contrario di ciò che raccontano
gli altri evangeli, il verso 40 dice: "Presero il corpo di
Gesù e l'avvolsero con le bende [si
faccia attenzione che il termine greco qui usato che in italiano
significa bende o fasce si legge "othoniois" che l'interlineare
della San Paolo traduce "con bende". Quello che a noi interessa è che
il termine "othonia" è diverso da "sindoni" ed entrambi i termini
indicano cose completamente diverse l'una dall'altra, inoltre "bende" è al
plurale (ad indicare più di una) e "sindoni" è sempre al singolare,
ad indicare un solo lenzuolo] assieme agli aromi,
secondo l'usanza di seppellire dei Giudei. L'usanza di seppellire
dei giudei è raccontata nello stesso vangelo di Giovanni, che
al capitolo 11 verso 44 parla di un morto di nome Lazzaro resuscitato
da Gesù che nel venire fuori dalla tomba dove era stato posto
era legato piedi e mani con le bende e sulla faccia era avvolto
un sudario. Da quanto si evince in questo verso, i cadaveri
non erano affatto avvolti nella sindone, ma erano semplicemente
bendati e con la testa avvolta in un fazzoletto (il sudario)
ma, ancora prima di avvolgerli nelle bende i cadaveri erano
preparati, vale a dire, unti con oli profumati. Nel caso di
Gesù, anche se il vangelo di Giovanni non dice che il corpo
di Gesù fu lavato, però è sottinteso: non si poteva e né si
può profumare un corpo di un cadavere macchiato e che puzza
di sangue, è fuori luogo, è impensabile che Nicodemo abbia
unto Gesù senza prima lavare il suo corpo, se il corpo non
fosse stato lavato, la puzza del sangue avrebbe coperto l'odore
dell'olio. Che Nicodemo abbia lavato il corpo di Gesù prima
di avvolgerlo nelle bende, è dimostrato dalla mistura che si
era portato: l'aloe è una pianta grassa con proprietà detergenti
naturali, è un vero e proprio sapone vegetale, la mirra è un
profumo, quindi mischiando questi due elementi ottenne un sapone
profumato che servì a lavare, a togliere dal corpo del
Cristo tutto il sangue fuoriuscito dalle ferite. Che i cadaveri
fossero lavati e profumati e attestato da altri passi dei vangeli
quale Matteo capitolo 26 verso da 6 al 12, Marco capitolo 14
verso da 3 a 8, Luca capitolo 7 verso dal 36 al 46, Giovanni
capitolo 12 verso da 1 a 7. Nei passi pocanzi citati si parla
di una donna che verso sul capo del Cristo dell'olio profumato
ungendo con esso tutto il corpo fino ai piedi. La cosa interessante è che
i piedi essendo soggetti ad essere più sporchi di tutto il
corpo, perché camminando a quei tempi a piedi nudi o con sandali
su strade non asfaltate come quelle d'oggi, ma polverose, si
riempivano di polvere, di conseguenza la donna prima lavò i
piedi anche se in forma simbolica e poi verso il profumo e
Gesù commento quest'azione come, (ecco il punto) una
preparazione alla sua sepoltura esprimendo esplicitamente
la sua volontà che quando sarebbe arrivata la sua ora avrebbe
voluto essere sepolto alla maniera giudaica di quei tempi,
in altri termini fece capire chiaramente che dopo morto voleva
che il suo corpo fosse lavato e unto con essenze profumate
secondo l'usanza del tempo.
Come sono andate effettivamente i fatti? La fede
e solo la fede e non il racconto evangelico ci dice che il
corpo del Cristo fu avvolto inizialmente, appena staccato dalla
croce nella Sacra Sindone, poi la Sacra Sindone venne tolta
perché sporca, imbevuta di sangue e sostituita dalle "othonia" (le
bende) e dal "soudarion" (il mandilion
per la testa), ma di questo susseguirsi di eventi non è fatto
cenno alcuno nei quattro vangeli, infatti, tutti e quattro
gli Evangeli omettono di indicare la sindone tra gli oggetti
trovati nel sepolcro dopo la resurrezione. Il Vangelo di Giovanni
al capitolo 20 verso dal 6 al 7 dice che San Pietro vide le
bende (othonia) che giacevano
distese e il "soudarion" (questo è la
lettura del termine greco usato nel verso sette) "che era sopra
il capo ripiegato in un angolo a parte", ma non vide nessuna
sindone. Che fine a fatto la Sindone? Sempre la fede nel tentativo
di unire il testo Biblico al sacro lenzuolo ci dice inventando
tutto, come possono essere andate le cose: "[sicuramente Giuseppe
d'Arimatea o Nicodemo conservarono la Sacra Sindone per poi
arrivare nel corso dei secoli fino a noi]", ma, in effetti,
le cose andarono diversamente, bisogna ricordare che Nicodemo
e Giuseppe d'Arimatea anche se simpatizzavano per Cristo erano
sempre Giudei osservanti della legge di Mosè e la legge di
Mosè prescriveva di considerare impuro ogni
cosa venuta in contatto con un cadavere e possibilmente bruciarla
nel fuoco, quindi la sindone imbevuta del sangue per noi santo
del Cristo, era per loro il sangue di un uomo divenuto cadavere
e quindi nel rispetto della Torah (la Legge di Mosè) andava
eliminata distrutta. Levitico 11, 32-39; Numeri 9, 6-13.
C'è chi addirittura è arrivato a scorgere nella
sindone di Torino l'impronta di alcune monetine in uso al tempo
di Cristo (il Dilepton Lituus e il Lepton
Simpulum entrambe coniate nel 29 d.C.) impressa sull'occhio
destro e sull'arcata sopraccigliare sinistra ad indicare la
perfetta coincidenza esistente tra la Sindone e l'epoca della
morte di Gesù dei Vangeli, spiegando questa presunta prova
con l'usanza "Gentile", pagana ma, attenzione non giudaica,
di porre queste monete sulle palpebre degli occhi per tenerli
chiusi. Gli ebrei del tempo di Cristo si ritenevano un popolo santo,
separato rispetto ai vicini Gentili, infatti, cercavano
per quanto possibile di evitare qualsiasi rapporto con chi
non era ebreo (Giovanni 4, 9; Isaia 52,1) evitavano perfino
i loro stessi connazionali esattori delle tasse perché maneggiavano
moneta straniera (Matteo 9,10.11; Luca 15,1.2; 19,2.7) e quindi
peccatori, figuriamoci quale atteggiamento potessero avere
nei confronti dei romani, loro dominatori, infatti, per non
contaminarsi non vollero entrare nel pretorio romano (Giovanni
18, 28) L'avversione verso gli incirconcisi
era tale che evitavano addirittura il contatto delle loro tombe
con quelle dei pagani. Se la preoccupazione di incorrere
nella contaminazione e nella impurità era tale, è inimmaginabile
una consuetudine che mettesse a contatto del cadavere dei defunti
Giudei qualsivoglia oggetto pagano, come sarebbe l'uso di monete
che avrebbero contaminato e profanato la salma del defunto.
Anche per i discepoli di Cristo era impensabile l'uso di oggetti
emessi dall'autorità che aveva ratificato la condanna a morte
del loro Maestro. Lo stesso Gesù pare non abbia mai toccato
monete romane, infatti, chi custodiva la borsa col denaro era
Giuda Iscariota (Giovanni 13, 29) inoltre, quando gli fu chiesto
a Gesù se pagare o no le tasse a Roma, si fece consegnare una
moneta con l'effige dell'imperatore e disse la famosa frase
riportata in Marco 12, 17: "réddite ígitur quae sunt Caésaris
Caésari et quae sunt Dei Deo". Se Cristo quindi comando
ai suoi discepoli di "rendere a Cesare le cose di Cesare" è impensabile
che i suoi seguaci siano andati a mettere monete, oggetti di
valore, valuta romana sugli occhi del Cristo.
Altri studiosi sostengono invece che le impronte
delle monete sul viso erano state provocate dal flagello, infatti,
si usava attaccare anticamente alle estremità della frusta
pezzi di piombo e monete non più in uso, allora, in questo
caso la data della morte dell'uomo della sindone è posticipata
al II o addirittura al III secolo d.C. e quindi non ha nulla
a che vedere con il Cristo dei Vangeli.
Il numero dei colpi di flagello sulle spalle
dell'uomo della Sindone di Torino, oltre 120 è enormemente
esagerato per quel che ne può sopportare un uomo comune, infatti,
bastano circa 42 colpi per uccidere un uomo. Osservando l'immagine
dell'uomo della Sindone di Torino, sembra che manchi qualcosa
per poter sostenere che il lenzuolo sia stato a stretto contatto
con un cadavere, infatti, non vedo la volta della scatola cranica
(anatomicamente definita "ossa parietali") che è piatta
(convessa) e liscia e si trova in ogni essere umano tridimensionale
al di sopra della fronte, manca completamente, questo forse
dimostra che l'immagine dell'uomo della sindone non è nata
dal contatto con un corpo tridimensionale, se così fosse, si
dovrebbe vedere davanti, di dietro e di sopra, invece l'uomo
della Sindone è raffigurato solo davanti e di dietro, in altre
parole, nell'immaggine dell'uomo della sindone, sono bene evidenti
le ossa frontali e della faccia, le ossa temporali che corrispondono
più o meno alle orecchie, il lobo occipitale e il rachide
cervicale che corrisponde al lato posteriore del cranio, infatti è bene
in evidenza la nuca, manca completamente la calotta cranica
che in anatomia corrisponde alle ossa parietali; di questo
aspetto sembra che nessuno di coloro che si sono occupati dello
studio della Sindone ne parli.
Questa trattazione chiarisce inequivocabilmente
che l'uomo della Sindone di Torino non è il Cristo dei Vangeli. Allora,
che cosa è la sindone di Torino? È un
oggetto che narra ad immagini come in un negativo fotografico
la storia di un uomo che subì le stesse e identiche torture
del Cristo dei Vangeli, un lenzuolo molto antico, ricco di
storia, che è divenuto oggetto di fede a motivo della stretta
somiglianza con la passione del Cristo e alla quale tutti i
pittori si sono ispirati nell'illustrare l'immagine di colui
che si è fatto visibile.
La stampa
che presento qui in questa
sezione del sito denominato "Vetrina" ha una cosa in comune
con la Sacra Sindone conservata a Torino è in
parte letteralmente achéropita, "non
fatta da mani umane", l'uniche cose che la distinguono
dalla Sacra Sindone è che il lenzuolo di Torino è di tessuto
vegetale (lino) lavorato da un essere umano sconosciuto,
inoltre, non si conosce da dove ha avuto origine l'immagine,
se per contatto diretto con il corpo di una persona o qualcos'altro, è da
aggiungere anche che l'immagine della Sindone è un negativo
in bianco e nero, tipo un rullino per foto, invece il mio
Mandylion achéropita è fatto anch'esso di tessuto vegetale,
ma è stato realizzato direttamente dal Creatore in quanto è una
foglia di Zucca Gigante incollata su carta.
Al credente
in Dio spieghiamo che l'immagine achéropita è stata ottenuta
in modo "miracoloso", in quanto
io ho preparato un disegno in bianco e nero, poi ho messo
l'immagine ottenuta a contatto della foglia e ho esposto
tutto al sole, dopo circa due giorni di esposizione, il
mio disegno, senza nessun intervento da parte mia si è trasferito
miracolosamente sulla foglia di Zucca.
Agli
scettici dico invece che per ottenere l'immagine del Cristo
ho messo in atto le mie conoscenze sulla sintesi clorofilliana,
presente in natura in tutte le piante verdi.