Quintocortile
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COMUNICATO STAMPA
18 - 28 maggio 2007 CARNE A PIACERE
HTTP://WWW.ARTMOMO.COM
a cura di Donatella Airoldi
presentazione di Giovanni Schiavo Campo
inaugurazione: martedì 18 maggio alle ore 18,00
orario: martedì - venerdì dalle 17,30 alle 19,30
nei temi che proponiamo sono presenti, oltre alla evidente vena
ironica, diverse possibili e ambigue interpretazioni. Momò Calascibetta sarà
presente con l'opera "La fame" creata in coppia all 'altra dal titolo "La sete
" esposta fino a maggio nel castello di Grumello in occasione della mostra "beviamoci
sopra" .Tali opere fanno parte del ciclo TERROMNIA, mostra-evento curata da
Philippe Daverio alla Fondazione Mudima di Milano.
Un bel cosciotto di agnello o una spalla umana vagamente nuda?
Carne, ovvero tutti gli esseri viventi. Ci sono i bolliti misti che sono insiemi
di carni lessate, ma che sono anche tutte le cose disordinate e articolate con
stridore, sono i compromessi ideologici all'ultimo stadio, sono pezzi di mondo
slegato e frantumato. Bistecche uguale occhi pesti e dis-piaceri, arrosti uguale
braci, fumo, lente rosolature. Come chi sta sulla graticola aspettando docce
fredde, o chi si inoltra nelle città torride riscaldate dalle marmitte e dagli
impianti di raffreddamento. Carne, piacere della carne, orrore della carne!
Giovanni Schiavo Campo
Una mostra a tema si sviluppa intorno a un ipotesi di percorso,
garanzia di solito del risultato critico che intende conseguire. Niente di così
scontato se la prospettiva in gioco è la carne, un rapporto costitutivo con la
fisicità della nostra esperienza in tutte le sue manifestazioni, estrinsecazioni,
implicazioni culturali. Oltre tutto pensato qui nella sua più ampia articolazione
a "piacere", cioè il più libero possibile: dunque come carnalità del corpo, erotismo,
in chiave alimentare o quant'altro. Veramente non un contenitore adatto a un qualunque
riepilogo di modi di fare arte, nonostante la voluta genericità dell'indicazione
di partenza, proprio per consentire agli artisti - e in ciò mi faccio portavoce
del punto di vista degli organizzatori di Quintocortile che hanno proposto l'iniziativa
- di scegliere l'approccio più consono all'ispirazione di ciascuno, per non vincolarli
a un'ipotesi di lavoro precostituita. Ed è notevole come proprio l'assenza di
un programma univoco diventi in realtà un'eccellente occasione di ripercorrere
un'intera gamma di modelli interpretativi. Potremmo anche definirlo un concorso
di idee i cui apporti individuali diventano altrettanti strumenti per passare
in rassegna le valenze concettuali all'origine delle concezioni che si radicano
nella sensibilità universale della carne, del cibo, del sesso. Istanze peraltro
che appartengono a un immaginario difficile da sintetizzare in uno schema aprioristico,
anche quando si fanno più espliciti i richiami alla tradizione in quanto rappresentazione
del corpo: livello, anche questo documentato nella mostra, non solo di indagine
estetica, ma soprattutto di grande impatto psicologico, per esempio se si pensa
ai fasti carnali di certa pittura barocca nel clima (ahimè così attuale) delle
guerre di religione. E' uno spunto, fra i tanti, da cogliere, in una ricognizione
che arriva a individuare la chiave, nella storia dell'Occidente, di un sovvertimento
culturale dei valori e di avvicendamento delle epoche nel riemergere di un filone
di dionisismo orgiastico. E' un motivo certamente sotterraneo, ma forse il più
plausibile come suggerimento nel tentativo di ricollegare a delle costanti i lavori
esposti. Assume, con Momò Calascibetta, i toni satirici dell'eccesso: della mole
dei personaggi, un uomo e una donna, e del pollo che sono intenti a divorare,
del gusto di impiegare la matita con straordinario virtuosismo ; la vivacità grottesca
della fantastica 'abbuffata' di schizzi del 'libro aperto' di Bruna Aprea. Roberto
Vecchione lo riconduce al versante 'osceno' delle falloforie, le antiche processioni
rurali del fallo in onore del dio portatore di fertilità, con un ironico "Ossobuco
paradiso" in lamiera di acciaio e rame e con angioletti, o cupidi, ritagliati
in lamina di ottone. Al "mangiatore di carne cruda", altro appellativo di Dioniso,
si adatta l'opera "Mol(l)are" di Rosa Maria Arau, richiamo alla funzione del masticare
e a una conformazione naturale che la pietra scolpita assume tra l'altro come
seduta. Al tema dello smembramento avvicina Zareh Baghoonian, artista di origine
armena che fa del colore un veicolo segnico-gestuale con cui evoca l'atmosfera
della bottega del macellaio senza peraltro rappresentare della carne in senso
proprio. Il consumismo, forma attuale, sia pure mediata di dionisismo, è anche
in chiave critica al centro del light box "W.t.o.", prodotto con il marchio Bi®thmark
che identifica le ricerche di due artisti, marito e moglie, impegnati nel recupero
e nella trasformazione estetica di manufatti in plastica, e dell'installazione
"Eat me" di Anna Finetti che polemizza con la voracità onnivora dell'odierno sistema
dell'arte come prassi di assimilazione dell'artista alle finalità del critico-curatore.
Altra modalità di recupero, il ready-made, è tipica di Gianantonio Ossani che
assembla forconi verniciati per proporci dei "Galletti alla diavola". Ironia crudamente
erotica quella dell'automat di Pietro Diana che reinterpreta, con tanto di pasto
finale dopo il coito, la favola della Bella e la Bestia. Significativa infine
l'espressione figurativa, incentrata per lo più sul corpo: dall'esuberanza delle
figure sagomate e incollate su pannello del "Paradiso?" di Mavi Ferrando, alla
grazia classica del nudo femminile di un collage di Jane Kennedy che utilizza
fotografie e laminato plastico, o nello stile, perfettamente decò anche come resa
esecutiva, di Angela Colombo.